Prodotti tipici e locali

Ecco alcuni dei prodotti tipici rappresentativi del nostro territorio e, più in generale, del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, con il quale la cooperativa Novale ha a lungo collaborato per il recupero e la relativa valorizzazione, sin dai primi anni 2000, quando è stato pubblicato l’Atlante dei prototti tipici dei parchi italiani, voluto dal Ministero dell’Ambiente e curato da Slow Food, Federparchi e Legambiente.

il cece di Capitignano

I ceci (dialettalmente “li cici”) da sempre coltivati a Capitignano e serviti nell’Agricampeggio Cardito, che un recente studio del CNR sul loro DNA ha catalogto fra le “varietà genetiche rare”, sono una particolare varietà dai semi molto piccoli (ø 5-7 mm), quasi perfettamente tondi, di colore ruggine e buccia liscia, molto saporiti e compatti dopo la cottura.  L’ambiente di produzione è submontano (900-1000 m slm).  La pianta, non decombente e pertanto molto resistente alle piogge estive, raggiunge 40 cm d’altezza circa e presenta fusto robusto, poche ramificazioni e foglie piuttosto rade.  Si adatta bene a terreni ghiaiosi che, contrariamente a quelli fertili, favoriscono la fruttificazione. Largamente consumato in zuppa e in insalata,  in passato era impiegato  anche per la produzione di farine per purè e crocchette.

la pastinaca di Capitignano

La pastinaca sativa L. (dialettalmente “bastinaca” o “bastonaca”) è una pianta biennale, appartenente alla famiglia delle ombrellifere.Si tratta di un ortaggio molto resistente ai parassiti, di cui si consuma la radice cotta, molto simile alla carota, ma di colore avorio e maggiore tendenza a ramificazioni tubercolari.Coltivata negli orti per uso domestico, essa è presente spontaneamente nei luoghi erbosi, prativi ed incolti.Raccolta durante l’inverno ha un sapore dolciastro, che migliora con l’esposizione alle gelate notturne. Mediamente diuretica, aiuta il funzionamento del sistema milza-pancreas-stomaco e la purificazione del fegato.L’antica varietà si è conservata a Capitignano perché tradizionalmente considerata una delle sette pietanze fondamentali del cenone della vigilia di Natale.

la mela roscetta di montereale

 

Frutti piccoli dalla buccia rossastra, maculata di rosso più intenso, la cui polpa molto compatta li fa conservare per alcuni mesi dopo la raccolta. Col tempo la stessa polpa tende a pigmentarsi di rosso.

L’area storica di produzione è l’Alta Valle dell’Aterno, tra Montereale e Capitignano, per circa un quintale l’anno, tra gli alberi ancora coltivati e quelli che resistono nelle campagne ormai abbandonate.

Questa mela è talmente gustosa da aver meritato un’importante citazione perfino sul prestigioso Wall Street Journal, il cui inviato ha potuto assaggiarla al Salone del Gusto 2000, la famosa kermesse di Slow Food, che si svolge ogni due anni al Lingotto di Torino.

le mortadelle di Campotosto

Salumi vestiti e non insaccati di carne suina (spalla, collo, lombo, coscia, pancetta, in proporzioni che garantiscono l’80% di carne magra), lavorata a mano, macinata a grana fine e con una barretta di lardo perfettamente bianco, inserita all’interno.Le mortadelle di Campotosto hanno forma ovoidale e sono legate e commercializzate in coppia (da cui la denominazione dialettale di “coglioni di mulo”) in pezzatura da gr 350-500 la coppia a stagionatura ultimata.Nella loro parte inferiore viene apposto un tralcetto di legno avvolto allo spago della legatura a doppia briglia, col quale tirare l’allentamento dovuto alla stagionatura, che dura circa 3 mesi.La tradizione vuole che, lavorate le mortadelle in mancanza di luna o in luna calante, esse vengano esposte prima al fumo di camini o bracieri alimentati giorno e notte con legna di quercia o faggio poi, in locali aperti, ai rigori della tramontana invernale, indispensabile ad assicurare un ottimale essiccamento, garantito dal particolare microclima esistente tra Campotosto e Poggio Cancelli, ad un’altitudine compresa tra 1300 e 1450 m slm.Le mortadelle di Campotosto lavorate secondo tradizione hanno un sapore unico, che l’esperto non può confondere con quello dei prodotti industriali, appesi in grande quantità nelle norcinerie e nei negozi per turisti di tutto il centro Italia, confezionati con sacchetti precuciti, lardelli congelati, legatura elastica ed essiccati artificialmente.Per salvaguardare la produzione artigianale, il Parco Nazionale Gran Sasso-Monti della Laga ha promosso l’istituzione di un Presidio Slow Food per questo eccellente prodotto.

il guanciale amatriciano

Lardo con venature di magro ottenuto dalla guancia del maiale rifilata secondo la classica forma triangolare.  La lavorazione dura almeno 3 mesi e prevede salatura, impepatura, affumicatura e stagionatura.Al taglio deve presentarsi ben compatto, bianco per la parte grassa e rosso vivo la parte magra. Il sapore è intenso, leggermente piccante, che lascia risaltare l’affumicaturaPer la sua facilità di conservazione e trasporto e per il suo notevole apporto calorico, il guanciale era alla base dell’alimentazione dei pastori transumanti.Questo stretto legame con il territorio di produzione, permane oggi nella realizzazione di una delle pietanze italiane più famose al mondo – la pasta all’amatriciana – di cui il guanciale, assieme al pecorino e al pomodoro (aggiunto alla ricetta alla fine del ‘700) è ingrediente fondamentale. 

i formaggi pecorini


I formaggi pecorini prodotti nella zona sono al 100% di latte di pecora, soprattutto di razze Sopravvissana e Gentile di Puglia, ben adattate alle condizioni ambientali del territorio ed allevate secondo modalità estensive.  Per gli allevamenti numericamente più consistenti si pratica ancora la transumanza verso il Tavoliere delle Puglie o la campagna romana, sia pure provvedendo al trasporto a mezzo di autocarri.  Per gli allevamenti più piccoli, si pratica l’allevamento stanziale, limitandosi alla transumanza verticale (trasferimento delle greggi in aree a diversa altitudine nell’ambito della stessa località), in base allo stadio di maturazione raggiunto dall’erba.  Nei mesi invernali le greggi vengono mantenute in stalla alimentandole con fieno e cereali aziendali.Per la preparazione del formaggio, ogni allevatore/produttore mette in pratica una propria tecnica casearia, non rendendo possibile l’identificazione di un tipo standard di pecorino, ma una varietà di formaggi pecorini che differiscono tra loro per alcune caratteristiche.In generale, le tecniche casearie impiegate prevedono:

  • Filtrazione del latte.
  • Riscaldamento di questo fino ad una temperatura di 35-40° C per 15-25 minuti.
  • Aggiunta di caglio naturale, ottenuto dallo stomaco di agnello, o di capretto, o di tipo commerciale.
  • Rottura della cagliata fino alle dimensioni di un chicco di mais a seconda della consistenza che si vuole ottenere.
  • Riscaldamento della cagliata a 40-45° C per 15 minuti circa.
  • Sistemazione della cagliata nelle casere e compressione per lo spurgo del siero.
  • Salatura delle forme e relativa sistemazione su tavole di legno in ambiente fresco ed areato.
  • Stagionatura da 2 mesi, per il prodotto più fresco, fino ad 1 anno, per quello più stagionato. Durante la stagionatura le forme vengono unte con olio di oliva per evitare un eccessivo disseccamento.

Il prodotto finito si presenta in forme di peso variabile da kg 0,5 a kg 2,5, a seconda dell’azienda di produzione.  La pasta, generalmente dura, ha un colore che varia dal bianco-grigio al giallo e può presentare occhiature di piccole dimensioni.  Lacrosta è liscia o canestrata, cappata d’olio di oliva, generalmente dura e di colore variabile dal giallo al marrone chiaro.  Il sapore è pronunciato e piccante e varia secondo i pascoli e le aziende di produzione. Il pecorino è buono da taglio e ottimo grattugiato.Facendo ribollire il siero rimasto dopo la lavorazione della cagliata destinata a diventare formaggio, si ottiene la ricotta (appunto, cotta nuovamente).

tutti gli altri prodotti del Parco


Il nostro parco, uno dei più estesi d’Italia, per la sua posizione geografica, la sua conformazione geologica e la sua storia, risulta oggi essere un vero “scrigno” di biodiversità.Molti altri sono, quindi, i prodotti tipici di qualità che lo caratterizzano e che meriterebbero una citazione (marroni e ventricina della Laga, cicerchie di Castelvecchio Calvisio, lenticchie di S. Stefano di Sessanio, pecorino di Farindola,fagioli di Paganica, fagioli di Grisciano, ecc.).Tuttavia, per ragioni di spazio, ci limitiamo ad indicare quelli più strettamente legati al territorio in cui operiamo.Per ulteriori approfondimenti rimandiamo gli interessati all’Atlante dei prodotti tipici dei parchi italiani e invitiamo tutti a venire nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga per conoscerli e gustarli direttamente.




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